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La fine del “Secolo Socialdemocratico”: Sinistra, che fare?

di ANDREA VEZZINI*
10/04/2018 - 20:11

Dopo aver partecipato a un paio di riunioni post voto del Partito Democratico - caratterizzate dal classico “le vittorie hanno molti padri, le sconfitte sono orfane” – nelle quali quasi tutti andavano alla ricerca del “colpevole”, mi è tornato in mente un articolo che scrissi per la rivista Cronache Umbre 2000, uscita nel gennaio 2003; ricoprivo allora la carica di Capogruppo dei Democratici di Sinistra nel Consiglio Provinciale di Perugia. Già agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso, il sociologo Ralf Dahrendorf parlava della “fine del secolo socialdemocratico”, praticamente inascoltato; e non solo alle nostre latitudini. Mi sembra, oggi, che quanto scrissi allora (in realtà misi insieme un patchwork di dichiarazioni di eminenti personaggi di sinistra e non solo – comprese in minima parte quelle del sottoscritto), fosse quanto mai lungimirante nonché profetico. Peccato non averne fatto tesoro.

 

IL “GIOCO” DELLA SINISTRA

 

Istruzioni:

Il seguente brano è stato costruito legando insieme frasi tratte integralmente da articoli e interviste -pubblicate negli anni ‘02/’03- dei seguenti autorevoli esponenti (con qualche eccezione) della Sinistra Europea; una sola appartiene al sottoscritto che –subdolamente- si è mischiato ad essi:

Anthony Giddens; Antonio Polito; Daniel Cohn-Bendit; David Miliband; Dominique Strauss-Kahn; Eugenio Scalfari; Francois Holland; Francesco Rutelli; Giuliano Amato; Gunter Grass; Giorgio Ruffolo; Giulio Tremonti; Ilvo Diamanti; Massimo D’Alema; Michele Salvati; Par Nuder; Salman Rushdie; Van der Eijck; Walter Veltroni; Andrea Vezzini.

Si gioca, cercando d’indovinare l’accoppiata frase/autore; chi ne azzecca la metà più uno (vale il Maggioritario, perbacco!), vince un’iscrizione gratuita ai DS per l’anno 2004, offerta dal sottoscritto. Potete inviare le soluzioni a: andreavezzini@alice.it

L'industrializzazione ha massificato, semplificato e omogeneizzato, ha creato le basi sulle quali si è potuto creare una rappresentanza politico-sociale come quella che abbiamo conosciuto e tuttora perdura, anche quando il suo tempo è ormai agli sgoccioli.

Oggi l'economia non produce grandi classi omogenee, che aspettano soltanto un partito e un sindacato che le rappresentino politicamente e socialmente nei loro interessi comuni: produce la "società degli individui", una società molto più ricca e molto più articolata, dove i piani di vita possibili si moltiplicano e s’intersecano. Ma anche più instabile e densa di rischi, dove la molteplicità sconfina con la divaricazione. E soprattutto più difficile da rappresentare politicamente e socialmente: in condizioni così sfrangiate ed eterogenee, qual’è l'elemento materiale comune, qual’è l'insieme di interessi semplici, qual’è il "blocco sociale" (si sarebbe detto una volta) sui quali costruire una rappresentanza stabile? Qual’è il progetto di riforma per il quale tale rappresentanza è richiesta?

Quella d’oggi è la società dell'insicurezza. Che non è solo la paura della criminalità e dell'immigrazione. E' l'insicurezza sociale. E ora persino l'insicurezza istituzionale, perché il processo di costruzione dell'Europa, se non motivato bene, appare come la progressiva perdita di sovranità. E questo può alimentare un conservatorismo populista.

Per fare un esempio, cresce il numero di chi crede che un governo democratico non riesca a risolvere il problema dell’immigrazione.

Non ci si deve sbagliare sul messaggio contenuto nel voto di molti degli appuntamenti elettorali europei degli ultimi anni: è un messaggio che rivela la voglia di ordine e la crisi di identità.

Questi fenomeni scoprono due problemi cruciali: la disaffezione alla democrazia e la debolezza del socialismo riformista.

In società ricche ma insicure come le nostre, il consenso politico non è legato solo alla congiuntura economica, ma anche e soprattutto alla fiducia nella capacità di affrontare in prospettiva i grandi problemi strutturali che generano un disagio sociale di fondo. In mancanza di quella, ogni governo è esposto a una rapida erosione elettorale del consenso. Il ciclo politico si accorcia.

In Olanda – poco tempo fa - il miracolo economico, la più bassa disoccupazione e la più rapida crescita d'Europa, non sono bastati a fermare un'ondata che è politica e culturale prima che economica, e che se ne frega delle statistiche. Il colpo è grave, perché di Jospin si poteva anche dire che era vecchia sinistra; ma Kok, il primo ministro uscente d’Olanda, era pura «terza via», socialismo liberale «ante-litteram», praticato già venti anni fa quando era il leader dei sindacati e Blair portava ancora i pantaloni corti. Moderazione e flessibilità in cambio di un boom senza inflazione, mercato efficiente e Welfare generoso. Per un decennio è sembrata la formula magica che tutti in Europa avrebbero voluto imitare. Una teoria dice: è proprio il successo economico che rilancia la destra, Austria, Danimarca, poi l’Olanda. Chi è cresciuto di più è cambiato di più; ha scoperto gli ospedali sovraffollati, l'afflusso di immigrati, le strade intasate di traffico e le notti agitate dal crimine. Sull'antico egualitarismo ha prevalso l'individualismo dei ceti rampanti che preferiscono la Mercedes alla tradizionale bicicletta. E’ l'habitat peggiore per la sinistra.

Cari soci della sinistra, non avete capito che la gente ha paura della criminalità e dell'immigrazione, non avete capito che vuole sicurezza; né che le elite europeiste gli appaiono troppo lontane dalla vita quotidiana. I piccoli cittadini hanno paura, non vogliono perdere il controllo della loro vita. Meditate. La gente ha voglia di cambiamento. E’ inutile vantare i successi di ieri.

La percentuale di forza lavoro occupata, nella Gran Bretagna si attesta nel 2002 al 76 %. In Francia e in Germania si aggira attorno al 65 % e in Italia supera soltanto il 50 %. La disoccupazione in Francia è particolarmente alta tra i giovani, una buona parte dei quali ha appoggiato Le Pen.

Tony Blair vince in Gran Bretagna perché ha condotto una politica implacabile contro la criminalità. E’ folle sostenere che il centro sinistra scimmiotti il centro destra se si occupa di lotta alla criminalità. E’ invece un nostro dovere occuparcene.

I ricchi la sicurezza se la costruiscono da soli; sono i poveracci che hanno bisogno di quella garantita dallo Stato.

Il ben noto proposito di Tony Blair di colpire con fermezza la criminalità e le cause della criminalità è stato uno dei principali elementi che ha contribuito all’ascesa del New Labour. Si basa sulla presa d'atto che le paure della gente riguardo alla criminalità sono reali e che meritano un riscontro. Si concentra su questioni che in precedenza sono state un campo aperto per la destra. Occorre che i socialdemocratici facciano altrettanto, se vogliono conservare o recuperare l'appoggio dell'elettorato più vasto. E occorre un atteggiamento analogo per quanto attiene la questione dell'immigrazione, forse il punto chiave sul quale verranno messi alla prova tutti i partiti di sinistra. Non serve proclamare che all’Unione Europea servono immigrati (anche se è così). Si devono sviluppare politiche che assumano una posizione ferma riguardo all'immigrazione, e ferma riguardo alle cause dell'ostilità contro gli immigrati.

In queste condizioni, la Sinistra può anche vincere, senza peraltro dissolvere l'immagine di un sistema politico e partitico frammentato. Che non sa e non riesce più a canalizzare e aggregare il consenso. Una spia della crisi che attraversa la democrazia occidentale. Attaccata a valori e a modelli forti. Che non riescono più a rispondere a problemi nuovi, diversi. Abbiamo cambiato secolo, epoca, ma le logiche e gli attori della democrazia europea sono rimasti eguali. Devono cambiare anch'essi, cogliendo - e prima ancora: accettando - i cambiamenti in atto. Altrimenti rischiamo di assistere al montare di una stanchezza della democrazia, densa e diffusa. Senza saper reagire. Sospesi fra l'indignazione e lo stupore. La rabbia e l'impotenza.

La sinistra deve essere in grado di apparire come una forza che garantisce sicurezza ma anche come una forza che rimuove le ragioni sociali dell'insicurezza.

Abbiamo bisogno di ritrovare un corpus di valori che siano presentabili e accendano un sogno, realistico nel nostro caso, senza il quale la politica diventa un mestiere come un altro, e allora tanto vale affidarsi a un bravo ragioniere.

E' la crisi del pragmatismo riformatore. Noi di sinistra vogliamo la quadratura del cerchio. Cioè sia sicurezza sociale che sicurezza per il capitale. L'equilibrio che la sinistra cerca tra le due esigenze alla fine le dà o un'immagine di sinistra senza cuore o di sinistra incompetente in economia. O troppo poco per il capitale o troppo poco per i temi sociali ed ecologici, o troppo liberalismo o troppe regole dirigiste ed ecologiste.

La sinistra è rimasta prigioniera della contraddizione tra voglia di giustizia sociale di quella parte della società che recepisce le disuguaglianze come un'aggressione, e richieste di più deregulation e meno dirigismo. Stretta tra due esigenze opposte non è riuscita a imporsi. Non ha più scelto.

Mi preoccupa la divaricazione, in italia, tra un preteso riformismo moderno senza radici, e un’opposizione tutta sociale. Il rischio è che i riformisti si disinteressino del sociale, e che l’opposizione più radicale rifiuti la politica considerandola appannaggio di un’oligarchia.

Tutto cambia e la paura non è infondata, dato che siamo proiettati in un nuovo mondo, fuori dagli ambiti noti e rassicuranti. E quindi la sinistra non può più identificarsi con quanto aveva saputo fare così bene per cinquant’anni, cioè con l’assistenza e la tutela sociale. Non può perché non è più possibile, finanziariamente e politicamente, continuare ancora per molto a estendere le provvidenze dello stato sociale. E soprattutto non deve più farlo, perché non sono più queste le aspirazioni popolari.

Diciamo le cose come stanno: c'è forse una crisi del modello socialista tradizionale, cosí come evidentemente c'è una crisi del modello comunista tradizionale. Il socialismo europeo ora è chiamato a una profonda riflessione su se stesso.

E poi il socialismo europeo deve darsi un’identità politica e persino un’ispirazione ideale che gli restituiscano l’immagine di una forza di grande cambiamento. Insomma, dobbiamo cercare di far convivere ciò che sbagliando è stato separato: la radicalità delle trasformazioni e il riformismo delle soluzioni.

La via facile, la via bassa, per ottenere un provvisorio consenso in una società di individui - individui spesso frustrati e ansiosi, preda di forze che non capiscono - è il populismo.

Nei nostri paesi, soprattutto dopo la fine del socialismo sovietico, il "nemico" che il populismo ha bisogno di inventarsi, la causa semplice di tutti i guai, insomma la "Roma ladrona" del nostro Bossi, è quasi sempre lo Stato ed in particolare i politici che lo governano.

Agli occhi di un populista odierno e nostrano, la pensione di un parlamentare è ben più grave della super Stock-option del grande manager che si porta via i suoi risparmi sul mercato. Insomma, è la versione di destra, antipolitica, anticosmopolita, anti-europea, localistica, e nei casi peggiori xenofoba e razzista, la variante di populismo che minaccia oggi le nostre democrazie.

E’ una terribile verità dei nostri tempi spaventosi, che quelli che sembrano curarsi di meno della libertà e della democrazia, sono coloro che hanno più facile accesso a questi tesori.

Oggi dominano la disaffezione alla democrazia e la debolezza del socialismo riformista.

Società come le nostre, dove giustamente vogliamo che le libertà siano quanto più possibile estese, dove giustamente vogliamo che gli individui possano essere quanto più possibile autonomi e responsabili di se stessi, sono società ingovernabili se non c'è tessuto morale che induca questi individui al senso della solidarietà e della missione comune.

Perché ci sono pochi dubbi: anche se la sinistra riformista si presenta (e deve farlo) come forza ricca di ideali; se ritrova in sé stessa il senso visionario che la caratterizzò all'inizio del secolo scorso; se allontana da sé il sospetto di essere un semplice gestore dell'esistente - tutte cose ingiustamente rimproverate al povero Jospin - necessariamente essa offre un messaggio più difficile di quello populistico di destra. Sia più difficile dal punto di vista della comprensione di ciò che è necessario fare, data la complessità del mondo (vai un po' a spiegare alla gente che cos'è la multilevel governance), sia più esigente dal punto di vista etico: la "solidarietà" della sinistra è una solidarietà universalistica, dove il "noi” coincide con il "loro" (e valla a pretendere, questa solidarietà, dagli abitanti del quartiere San Salvario di Torino). Occorre un'opinione pubblica molto sofisticata, molto cosmopolita, una popolazione molto istruita, tensioni interne piuttosto moderate, per farsi entusiasmare dal nobile e difficile messaggio identitario che la sinistra riformista spontaneamente offre.

Per giungere fin lì, occorre un pensiero forte: un progetto che restituisca alla politica l'iniziativa dello sviluppo economico e sociale, orientandoci verso una società altrettanto ricca dell'attuale, ma giusta. Per questo occorre dare una risposta nuova e positiva, non solo difensiva, alle spinte che hanno determinato la crisi del compromesso socialdemocratico. E’ proprio questa risposta che il socialismo riformista europeo non ha saputo dare, finora. La risposta più efficace alla globalizzazione, e all'erosione della sovranità politica che essa implica, è, senza alcun dubbio, l'unità politica europea, con il recupero di quella sovranità a un livello superiore a quello degli Stati nazionali. Solo a quel livello è possibile realizzare le premesse economiche e finanziarie di un modello sociale europeo. Ma davanti a questa barra da saltare, la maggior parte dei cavalli socialisti recalcitrano. Il riformismo socialista è rimasto, nella maggior parte dei paesi europei, legato alla matrice statalista nazionale, entro la quale è cresciuto. La risposta più efficace alla offensiva privatistica e liberista, con tutte le sue conseguenze sociali disgreganti, è un deciso riorientamento delle risorse verso i grandi bisogni collettivi: la sicurezza, l’ambiente, l'istruzione, la formazione permanente, le infrastrutture e i servizi pubblici. La spesa sociale deve aumentare rispetto al prodotto nazionale. Il problema del suo finanziamento, se non si vuole, come non si deve, andare a sbattere contro il muro della pressione fiscale, deve essere risolto spostandone l'onere dal welfare state alla welfare society decentrando una quota crescente ad attori sociali, a quella economia associativa (fondazioni, associazioni, cooperative sociali) che costituisce la nuova frontiera di un socialismo moderno, non statalista e non subalterno a un liberismo demagogico che promette spudoratamente meno tasse e più servizi.

La risposta più efficace è l'introduzione di una "bussola" dello sviluppo. Oggi il comandamento supremo è la competitività: la corsa frustrante dei cani che inseguono una lepre finta e irraggiungibile. Correre correre, ma dove? Una riforma fondamentale sarebbe quella di introdurre, accanto all'indice sempre piú bugiardo del Pil, che mischia i beni e i mali, un indice composto di traguardi desiderabili e possibili, nei settori essenziali per il benessere sociale (il lavoro, la salute, la sicurezza, l'ambiente). Dare un senso alla crescita, significa fondare un nuovo concreto consenso. Significa ridare al riformismo socialista la credibilità che sta perdendo. Significa, come diceva Leon Blum, «riportarlo alla purezza della sua ispirazione primitiva».

Se questo è vero, per riprendersi la sinistra dovrebbe forse ritornate alle politiche che i modernizzatori hanno respinto: tasse elevate, un intervento statale più consistente nell'industria e una maggiore enfasi alla ridistribuzione? Ma questo orientamento non reggerebbe al momento del voto. Gli elettori sono oggi in buona parte non ideologici. Ben più del 50 per cento dei votanti nei paesi della Unione Europea (e negli Stati Uniti), si definisce né di destra, né di sinistra. I partiti che si sono attenuti al programma elettorale tradizionale della sinistra ottengono pochi voti, in genere sotto il 10 per cento del voto complessivo e si tratta di una percentuale in declino. Gli errori delle politiche dei governi di centrosinistra sono di segno opposto, vale a dire, l'incapacità di modernizzare sufficientemente. Tra le priorità spiccano due elementi. Il primo è la riforma del mercato del lavoro e del sistema della previdenza sociale, in modo di dare impulso alla creazione di posti di lavoro. Il secondo è la necessità che la sinistra si appropri di questioni tradizionalmente care alla destra come l'immigrazione e la lotta al crimine. I socialdemocratici in vari paesi europei hanno mostrato resistenze o sono stati politicamente incapaci di adeguarsi in questo senso, e hanno pertanto ceduto voti alla destra.

Perché il centro destra è molto più efficiente nell'intercettare i due fenomeni nuovi della società: l'atomizzazione e la paura da globalizzazione. L'intero universo ideale della sinistra è in difficoltà: era uguaglianza e oggi prevale la differenza; era rappresentanza, e ora la gente vuole governo; era pubblico e oggi dilaga il privato; era Stato e questo è il tempo del mercato; era lavoro dipendente e oggi cresce il lavoro autonomo e atipico. Vogliamo capirlo che tutto è cambiato intorno a noi?

La sinistra ha perso perché non ha tentato di parlare con l'elettorato che c'è. Ha tentato di parlare con l'elettorato che non c'è. Poi urlano se in quel vuoto s’infila un trotzkista o un Le Pen.

Il Successo della socialdemocrazia negli anni '90 è stato costruito sul principio “ i valori rimangono, ma le politiche cambiano". Quando si sta al governo, ciò è importante tanto quanto - se non di più - di quando il governo si deve conquistare. Dimenticarci da dove veniamo, e ancor di più, dove andiamo, vuol dire votarsi al fallimento.

NOTA PER PER L’IMPAGINATORE:

I “rientri” dei capoversi vanno lasciati, poiché identificano le frasi dei vari autori; oppure sostituiti da altro riferimento (grassetto/dimensione carattere prima lettera o altro).

 

 

*già Segretario Comunale del Partito Democratico di San Giustino