Giovanni Pico della Mirandola conte di Concordia
"Non ti diedi nè volto, nè luogo che ti sia proprio, nè alcun dono che ti sia particolare, o Adamo, affinchè il tuo volto, il tuo posto e i tuoi doni tu li voglia, li conquisti e li possiedi da solo. La natura racchiude altre specie in leggi da me stabilite.
Ma che tu non soggiaci ad alcun limite, col tuo proprio arbitrio al quale ti affidai, tu ti definisci da te stesso. Ti ho posto al centro del mondo affinchè tu possa contemplare meglio ciò che esso contiene. Non ti ho fatto nè celeste, nè terrestre, nè mortale, nè immortale, affinchè da te stesso liberamente, in guisa di buon pittore o provetto scultore, tu plasmi la tua immagine.
Pico della Mirandola "Oratio de Hominis dignitate"
Pico della Mirandola, Giovanni, conte di Concordia. - Filosofo (Mirandola 1463 - Firenze 1494). Si propose di raggiungere una sintesi tra le dottrine più diverse, non solo quelle di ispirazione cristiana e pagana, ma anche quelle di derivazione ebraica e araba e senza escludere il lascito della filosofia medievale: egli scrisse a tal fine un documento articolato in 900 tesi che avrebbe dovuto essere discusso a Roma in una riunione tra dotti provenienti da ogni parte del mondo. La discussione, tuttavia, non si poté tenere, perché alcune di quelle tesi furono ritenute eretiche. Pubblicò quindi l'orazione De hominis dignitate, che avrebbe dovuto inaugurare il congresso e che può essere considerata il «manifesto» dello spirito umanistico-rinascimentale: in essa, infatti, si individua nella libertà la caratteristica fondamentale dell'uomo, garantita dal non essere egli di una natura determinata, ma capace di darsi la natura che vuole, dal non aver limite né chiusura, dal suo essere aperto a tutto, capace di diventare tutto, fino ad ascendere con il suo intelletto al termine ultimo, alla congiunzione con Dio.
VITA
Quattordicenne si recò a Bologna (1477) per studiare diritto canonico; nel 1479 è a Ferrara (nello stesso anno, in un viaggio a Firenze, conobbe Poliziano e probabilmente Ficino) ove ebbe forse rapporti con Savonarola e fu amico di Guarini; nel 1480-82, a Padova, ascoltò Nicoletto Vernia, conobbe Nifo, entrò in rapporto con Elia del Medigo, con Girolamo Donato e altri dotti, con i quali si avviò allo studio della filosofia aristotelica e dei suoi commentatori greci, arabi e latini. Lasciata Padova per Pavia (1482), dove coltivò, con la filosofia, il greco, nel 1484 era a Firenze ed entrò subito nell'ambiente platonico che gravitava attorno a Ficino; nel1485 in Francia. Rientrato in Italia (1486) si proponeva di convocare a Roma un convegno di dotti per sottoporre alla loro discussione le tesi filosofiche che era andato maturando in vista della dimostrazione di una pia philosophia capace di assicurare una pace e una «concordia» tra tutte le scuole. Intanto andava riprendendo i suoi studi con Elia Del Medigo e soprattutto con Flavio Mitridate che l'avviò alla conoscenza dell'ebraico e del caldaico: da tempo ormai P. si era immerso nello studio della cabala ebraica, in cui pensava di trovare i fondamenti della più riposta sapienza racchiusa nella Bibbia. In seguito P. fuggì in Francia dove, per ordine del papa, fu arrestato e rinchiuso nel castello di Vincennes (1488). Liberato per intervento di Lorenzo il Magnifico, fu da allora ospite di questo in una villa di Fiesole, dove compose le sue opere maggiori.
Fonte : www.treccani.it