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Case popolari, gli inquilini: "Basterà un’auto di proprietà per essere tagliati fuori"

Diritti
Umbria 10/06/2017 - 11:35

«Da una ricognizione fatta sulle case popolari a Madonna Alta di Perugia, su 112 appartamenti ben 82 sarebbero fuori dai nuovi criteri e sono tutte famiglie italiane. Quindi non si dica: diamo le case agli umbri, si dica che le toglieremo». Minacciano una dura lotta i sindacati degli inquilini – Sunia Cgil, Sicet Cisl, Uniat Uil e Unione Inquilini – contro modifica alla legge regionale “23/2003”, quella che determina i requisiti per l’assegnazione degli alloggi popolari, votata all’unanimità dall’Assemblea di Palazzo Cesaroni lo scorso 29 maggio. Fra l’altro c’è un precedente del 2012 con una modifica alla legge che poneva come requisito «la residenza o l’attività lavorativa nella regione per un periodo di cinque anni» impugnato davanti alla Suprema corte.

Cosa è cambiato L’iniziativa legislativa attuale, invece, è targata Lega nord, con i consiglieri Emanuele Fiorini e Valerio Mancini, e rientra nella battaglia nazionale del partito di Salvini contro le case date agli stranieri. La proposta, in terza commissione, è stata però modifica e integrata in modo da renderla digeribile anche per tutte le altre forze politiche. In dettaglio, d’ora in avanti per accedere ai bandi per l’assegnazione degli alloggi, saranno necessari  5 anni (la Lega ne chiedeva 10) di residenza anagrafica o attività lavorativa stabile ed esclusiva o principale nella regione. Si richiede poi una valutazione della capacità economica del nucleo familiare del richiedente anche con riferimento alla titolarità di beni mobili registrati, il cui valore complessivo non deve essere superiore a 10 mila euro, salvo i casi in cui i beni siano oggetto di necessario utilizzo per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Prevista inoltre la possibilità di accedere ai bandi anche per i titolari di proprietà assegnate in sede di separazione giudiziale al coniuge e sulla base della documentata indisponibilità della proprietà. Inoltre i beneficiari non dovranno possedere immobili situati all’estero. Per quanto attiene infine alla formazione della graduatoria per l’assegnazione degli alloggi, i Comuni potranno individuare eventuali, ulteriori “criteri” per determinare i punteggi da attribuire complessivamente, anche tenendo conto della durata del periodo di residenza nel territorio comunale.

Dura protesta degli inquilini I sindacati degli inquilini contestano vari aspetti della modifica. In primis, il metodo adottato: «Hanno voluto fare tutto da soli, scavalcando completamente noi addetti ai lavori, noi che siamo gli unici a conoscere veramente le esigenze dei cittadini e dei lavoratori, avendo ogni giorno le file ai nostri sportelli». E poi, nel merito, a partire dal requisito dei 5 anni di lavoro continuativi, «una follia nel bel mezzo di una crisi occupazionale senza precedenti, con l’esplosione della precarietà e delle forme di lavoro più instabili come i voucher». Stesso discorso per il requisito della residenza da almeno 5 anni con «l’intento di escludere gli stranieri che invece diventerà un pretesto per escludere tutti, italiani compresi».

Basta un’auto? Anche il criterio dei beni per 10 mila euro, per i sindacati, rischia di che determinare «l’esclusione di chiunque possieda una qualsiasi automobile, anche un’utilitaria, magari indispensabile per recarsi al lavoro». Fino alla discrezionalità data ai Comuni, non come in precedenza per assegnare punteggi aggiunti per ulteriori disagi, bensì per allungare il criterio della residenza magari allungandolo a 10 anni «per pura demagogia e non per venire incontro alle famiglie più povere».

Non è contro i furbi Sunia, Sicet, Uniat e Unione Inquilini respingono anche che dietro la modifica l’obiettivo fosse quello «sacrosanto» di colpire i furbi. «Noi – hanno detto – siamo i primi a volere cacciare chi occupa una casa popolare senza averne davvero diritto, ma in questo modo non si colpiscono i furbi, si colpiscono tutti. Si diano invece ai Comuni gli strumenti per intervenire, strumenti che al momento non hanno». E sulle risorse: «vengano usate per ristrutturare quelle 400 case popolari oggi inutilizzabili». Insomma, di criticità ce ne sono parecchie e i sindacati promettono battaglia: «Chiediamo l’immediata convocazione di un tavolo in Regione per riparare agli errori grossolani che sono stati fatti e ripristinare un metodo democratico – hanno concluso i rappresentanti di Sunia, Sicet, Uniat e Unione Inquilini – altrimenti non resteremo a guardare, siamo pronti a passare all’azione».

La Lega replica Lette le dichiarazioni dei sindacati la Lega con il capogruppo in consiglio regionale Emanuele Fiorini e il vicesegretario umbro Virginio Caparvi le giudica «prive di ogni fondamento, del tutto inconsistenti e, per di più, strumentali e tardive. Dove erano le associazioni sindacali quando negli anni la maggior parte dei cittadini umbri veniva esclusa dagli alloggi di edilizia residenziale sociale? Come mai, pur essendo noto che da diciotto mesi era stata depositata una proposta di riforma delle norme di riordino in materia di edilizia residenziale sociale, non hanno mai cercato un’interlocuzione con i proponenti, le altre forze politiche e le istituzioni?». La Lega parla poi di «inesattezze»: «Basta leggere il testo normativo riformato per rendersi conto che l’allungamento del requisito della residenza nel territorio regionale ad almeno cinque anni sia esclusivamente finalizzato a tutelare tutti coloro che credono in un futuro nella nostra regione». Insomma, secondo i leghisti tutte le modifiche «hanno il solo scopo di salvaguardare gli umbri, anche non italiani purché integrati. A tal proposito, si rammenta alle associazioni sindacali degli inquilini che il requisito soggettivo per l’assegnazione relativo all’attività lavorativa quinquennale stabile ed esclusiva o principale nella Regione sia previsto come alternativo e non esclusivo rispetto a quello della residenza da almeno cinque anni nel territorio regionale».