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Sabel, Salone dell'Allevamento in Burkina Faso: intervista esclusiva a Moumouni Simpore, Presidente del Cercles des cuniculteres

di PIERO SUNZINI*
06/12/2018 - 20:53

Il Salone dell’Allevamento in Burkina Faso (SABEL) ha aperto la sua prima edizione alla presenza del Presidente della Repubblica, Roch Marc Christian Kabore, e del Ministro della zootecnia, Sommanogo Koutou, lo scorso 27 novembre 2018.
Organizzato dal Ministero delle Risorse Animali ed Ittiche, è stata un’occasione d’incontro tra allevatori, fornitori di attrezzi e strumenti, tecnici del settore, nazionali ed internazionali. Un’opportunità, inoltre, per partecipare ai numerosi seminari organizzati per fare il punto sullo stato dell’arte e lo sviluppo dei differenti allevamenti in Burkina Faso.
Al SABEL era presente anche Tamat. Il direttore Piero Sunzini ha avuto l’occasione d’intrattenersi lungamente con Moumouni Simporé, Presidente del Cercle des cuniculteres, con il quale ha discusso delle opportunità/criticità dell’allevamento dei conigli in Burkina Faso. Di seguito l’intervista.

Presidente Simporé ci parli della sua associazione e delle sue finalità.

«Le Cercle des cuniculteres è l’associazione degli allevatori di conigli in Burkina Faso. Nasce dalla passione per la cunicultura di alcuni allevatori che dal 2015 hanno creato un gruppo virtuale per scambiare informazioni tecniche on line. Il 2018, però, è stato un anno importante, perché l’associazione ha avuto un processo di strutturazione ed è stata formalmente riconosciuta dalle autorità competenti del Burkina Faso (BF).
Attualmente l’associazione conta 58 allevatori burkinabé, iscritti nel libro soci, ma è composta da più di 200 persone che regolarmente partecipano alle discussioni tecniche sui canali “social” (Facebook, WhatsApp, etc.) anche da diversi paesi dell’Africa occidentale (Costa d’Avorio, Niger, Mali, Togo, Benin et Burkina Faso).
I 58 membri sono, per la maggior parte, localizzati intorno a Ouagadougou, tanto che si può definire l’allevamento dei conigli come un’“attività cittadina”: “senza terra” e con una rendita di posizione, per la vicinanza di un importante mercato di sbocco del prodotto.
Il gruppo dirigente dell’associazione è costituito prevalentemente da giovani, altamente scolarizzati. Tra di noi abbiamo un veterinario, uno zootecnico, un esperto di marketing, io stesso sono giornalista. 
Tutti, comunque, allevatori di conigli che vorrebbero diventare “professionisti” e ricavare il 100% del loro reddito dall’allevamento, che dovrebbe diventare l’attività lavorativa esclusiva. 
La finalità dichiarata dell’Associazione è quella di creare i presupposti per la realizzazione di una vera filiera produttiva in BF. Cosa che potrà svilupparsi, da una parte, innalzando il livello professionale di tutti gli allevatori, alcuni dei quali praticano ancora forme d’allevamento che potremo definire “amatoriali”, con un allevamento fatto anche a terra e/o con la presenza, in alcuni casi, di solo due gabbie per le fattrici. Dall’altra, con un sostegno più concreto da parte del Ministero delle Risorse animali e dei suoi Servizi decentrati, in termini d’assistenza tecnica, di accesso al credito e di controllo degli aspetti sanitari».

Quali sono i punti di criticità dell’allevamento dei conigli in BF?

«La risposta immediata è: «mancanza di competenze per una gestione corretta di tutte le fasi della filiera. 
Si può cominciare dall’insufficienza quali-quantitativa del patrimonio cunicolo a disposizione. 
Le razze locali, più piccole (2,0 Kg adulto), sono state incrociate da singoli allevatori, senza seguire un protocollo scientifico di miglioramento genetico, con razze provenienti dall’estero. Si tratta in particolare delle razze Hylas e Papillon (Benin) e Hyplus (Costa d’Avorio) che sono a loro vota degli ibridi incrociati col coniglio Californiano e Neozelandes che arrivano a pesare fino a 4-5 Kg ad età adulta. 
Questi ibridi hanno un tasso d’accrescimento più veloce e riusciamo ad arrivare al peso di vendita - 1,2-1,5 Kg - dopo 30 giorni di svezzamento e 60 d’ingrasso. Per raggiungere lo stesso peso con le razze locali abbiamo bisogno del doppio del tempo (180 giorni). 
In termini quantitativi partiamo da una produzione media di 5-6 parti/anno per fattrice, per una produzione di 6-12 coniglietti/parto. Teoricamente siamo tra i 30/72 coniglietti/anno/fattrice ma la cifra reale è verso il basso della “forchetta”. Se diciamo 5 parti l’anno e 6 coniglietti/parto, siamo più vicini al dato reale. 
Aumentare di 1-2 parti l’anno/fattrice è possibile; non pensiamo a 9 parti/anno. Bisogna infatti tener conto che nella stagione calda (marzo-maggio) diminuiscono i calori e conseguentemente gli accoppiamenti. Comunque, anche con questo semplice aumento si riuscirebbe a stabilizzare la produzione/anno per coniglia attorno a 60-70 coniglietti: un incremento significativo di produzione. Se fatto poi con razze che producono più carne, l’incremento sarebbe ancora più significativo».

A tal proposito, abbiamo chiesto al Direttore de la promotion de la filière animale (DPFA) del Ministero della zootecnia del BF, Leon BADIARA, le statistiche sui conigli (carne prodotta, numero di conigli, etc.). Ci ha risposto che non esistono statistiche ufficiale sul patrimonio zootecnico dei conigli. È reale questa risposta, voi avete qualche riferimento? In altri termini, conoscete il patrimonio cunicolo del BF?

«Il direttore ha ragione. Non esistono dati certi in Burkina Faso. Non si sa quanti conigli esistono. Il Paese è molto indietro in questo ambito. Almeno che non si voglia fare riferimento all’ultimo censimento nazionale del patrimonio animale che ha preso in conto anche la parte cunicola, realizzato però nel 2003, dove sono identificati complessivamente 130.672 animali in Burkina Faso. Da allora non abbiamo più dati, anche se il Ministero, in questo 2018, ha lanciato un nuovo censimento ed attualmente siamo in piena fase di raccolta dati».

Il patrimonio cunicolo dell’Associazione, però, lo conoscete?

«Orientativamente sì. L’epidemia dell’estate scorsa, tuttavia, ha decimato i nostri allevamenti ed è difficile dare cifre esatte. Per fornire un ordine di grandezza, posso dire che gli allevatori-leader dell’associazione hanno una media di 20 fattrici e che gli altri ne hanno mediamente 6-8 a testa. Facendo quindi un rapido calcolo, il Cercle potrebbe contare su circa 500 fattrici per 58 allevatori».

Che cos’è questa epidemia, di cui ha fatto cenno?

«Sull’epidemia, fino allo scorso mese di agosto, non avevamo una diagnosi certa. C’era il forte sospetto che potesse essere il VHD (malattia emorragica virale-MEV). Tutti gli elementi raccolti ci orientavano in questa direzione ma nessun laboratorio nazionale ha avuto la capacità di confermarci questa diagnosi. Solo quando è scoppiata la polemica sui giornali il Ministero delle Risorse animali ha ritenuto opportuno inviare campioni di animali deceduti in laboratori specializzati della Costa d’Avorio e Francia: le ipotesi sono state confermate con una diagnosi certa, si trattava di MEV.
Ecco evidenziato, quindi, come gli aspetti veterinari siano un’altra criticità dei nostri allevamenti, un reale punto di debolezza. Noi allevatori abbiamo bisogno di formazione negli aspetti igienico-sanitari degli allevamenti ma ci rendiamo conto che anche il Ministero di competenza non ha personale specializzato. Serve quindi un’azione di sistema di formazione congiunta, per i quadri statali e per gli allevatori. Inoltre i nostri laboratori spesso sono carenti dei reagenti per fare analisi adeguate e non riescono a fornire tempestivamente le informazioni agli allevatori».

Quando parla di aspetti igienico-sanitari si riferisce anche alla fase di macello e a quella dell’alimentazione?

«Certo che sì. Mi rendo conto che per voi non è facilissimo capire lo stato dell’arte dei nostri allevamenti. Per essere chiaro le dico che in Burkina Faso non c’è nessun mattatoio di conigli, pur piccolo che sia. Mi rendo conto che nello scenario dell’attuale patrimonio cunicolo il mattatoio potrebbe sembrare un vezzo ma secondo me, un piccolo mattatoio, anche sperimentale, potrebbe essere un catalizzatore, una base di lancio reale della filiera.
Per quanto riguarda l’alimentazione, siamo coscienti che la soluzione migliore è il pellettato. Facciamo di tutto per utilizzarlo ma non sempre è possibile ed è allora che nascono problemi igienico-sanitari. Siamo costretti a confrontarci con due problemi principali, di carattere generale: 
1. La qualità nutrizionale e l’inaffidabilità delle forniture. Quando acquistiamo il prodotto in Burkina Faso, infatti, ci troviamo spesso di fronte a un prodotto di bassa qualità nutrizionale. È un prodotto alla CPAVI (Centro per la Promozione dell’Avicoltura di Villaggio), nella zona di Bobo-Dioulasso, che è specializzato nella produzione del mangime per polli. Il CPAVI ha dedicato una piccolissima parte della produzione al pellet per conigli: la composizione del miscuglio di base – che noi non conosciamo -, però, è spesso concepita sulla necessità dei polli e quindi adattata ai conigli. L’effetto è quello di cui si faceva menzione: una qualità scarsa che noi riscontriamo, in un’analisi comparativa con i mangimi importati, nei tassi d’accrescimento dei nostri conigli. Il problema maggiore è comunque l’incertezza della consegna del pellet. In alcuni periodi dell’anno il pellettato non è disponibile ma anche in quei periodi che dovrebbe esserlo le forniture possono essere sospese in qualsiasi momento. La CPAVI addebita le responsabilità soprattutto a macchine vetuste che si rompono troppo frequentemente. Penso che abbia ragione. Qualche privato ha provato a lanciarsi nel potenziale business del mangime per conigli ma anche in questo caso, per errore di dimensionamento della pellettatrice, non ha funzionato. Torniamo sempre al problema di mancanza di competenze e, quindi, al bisogno di formazione. Per questa ragione siamo spesso obbligati a comprare il mangime all’estero, con tutte le difficoltà del caso;
2. Costo del mangime. Lo compriamo principalmente in Benin o Costa d’Avorio. Il costo però è elevato: dal Benin il sacco di 50 Kg ci costa 14.000 FCFA (1 euro = 655,957 FCFA); dalla Costa d’Avorio, invece, un sacco di IVO Grain 17.000 FCFA e uno di VITALAC, importato dalla Francia, 22.000 FCFA. Tuto ciò a fronte di un costo di 11.000 FCFA in BF. Tra questi mangimi, preferiamo di gran lunga quello che viene dal Benin, anche per ragioni di costo, ovviamente».

Dal quadro che sta delineando, possiamo concludere che l’allevamento del coniglio non sta procedendo bene in Burkina Faso?

«Le rispondo con una battuta: il coniglio non sta funzionando in BF perché non c’è! In altri termini, l’allevamento di conigli ha delle potenzialità enormi. In BF, dove la popolazione cresce a un tasso di 2,5%/annuo, c’è bisogno di carne di qualità - la cui produzione non sia competitiva con l’agricoltura nello sfruttamento della terra e con l’uomo nell’alimentazione - e di nuove opportunità di lavoro e di creazione di redditi aggiuntivi, soprattutto per i giovani. Il coniglio garantisce tutto ciò.
Per darvi qualche riferimento: il nostro obiettivo è di vendere le nuove razze ibride di coniglio a 4.000 FCFA/Kg. È una grossa sfida; vogliamo seguire il percorso già fatto dagli allevatori avicoli in BF. Anche in quel caso infatti il pollo non si vendeva al Kg ma oggi sì. Il coniglio, invece, ancora oggi, in BF non si vende al Kg ma a “unità animale”, morto o vivo che sia. Si è costretti a fare continue contrattazioni con l’acquirente ed il prezzo può variare da 2.500 fino a 5.000 FCFA/coniglio».

È d’accordo quindi con il direttore BADIARA quando ci ha detto che questa filiera potrebbe generare numerosi posti di lavoro perché il consumatore burkinabé è già pronto al consumo di coniglio?

«Certamente sì. Per dare un ordine di grandezza, possiamo dire che un allevamento di 100 coniglie può generare 3-5 posti di lavoro diretti, senza contare l’indotto (veterinario, produttore d’alimenti, etc.). 
Faccio l’esempio dell’habitat del coniglio. In questo ambito c’è bisogno di gabbie che siano efficienti ed efficaci per un allevamento moderno. Uno dei nostri allevatori sta cominciando a produrle ma ha bisogno di sostegno, tecnico e finanziario. Anche in questo, il sistema nel suo complesso deve migliorare: nuove gabbie più efficaci debbono essere prodotte in BF con tecniche ad alto valore di mano d’opera. Un indotto che potrebbe generare altro lavoro. 
Il coniglio è in una filiera che, con investimenti ridotti, non comparabili con nessun altro tipo d’allevamento in BF, riesce a generare redditi in tempi strettissimi. Anche economicamente, quindi, il miglioramento dell’allevamento porterebbe vantaggi all’intero sistema socio-economico burkinabé. 
Il direttore ha ragione, non esiste un problema di mercato in Burkina Faso. 
Un aumento della disponibilità della carne di coniglio sarebbe assorbito facilmente dal consumatore burkinabé. Non siamo in grado, attualmente, di accontentare la domande che esiste. Hotel e ristoranti di Ouagadougou, ma anche privati cittadini, ci chiedono la carne di coniglio. Siamo noi che non riusciamo né a soddisfarli né a fidelizzarli. Ci rendiamo conto che per i ristoratori fare pubblicità a piatti a base di coniglio e poi, improvvisamente, non poterli più offrire è una defaillance inconcepibile; mette a rischio la serietà del gestore anche con la clientela più affezionata. Noi allevatori, lo ribadisco, scontiamo limiti strutturali gravi nel nostro sistema produttivo. Le confermo che il consumo di carne di coniglio non è un problema, ovviamente, con questi bassi livelli di produzione; anche nell’ipotesi di un aumento significativo della produzione, comunque, non ci sarebbe alcun problema, con l’avvio di campagne di sensibilizzazione, anche pubbliche, di sostegno al consumo».

Per concludere, Presidente Simporé, cosa chiedereste ad un donatore internazionale interessato a sostenere il Cercle dei coniglicoltori?

«Innanzitutto formazione, per aiutarci a migliorare la gestione della filiera da un punto di vista tecnico e manageriale. Il tutto in un quadro sistemico per il Paese. Da questo sviluppo della filiera, infatti, non dovrebbe essere escluso il settore pubblico. Formazione, quindi, anche per i quadri ministeriali per consolidare know-how nelle strutture istituzionalmente incaricate dell’assistenza tecnica.
Ci potrebbe essere utile la costituzione di un’azienda modello che possa essere un punto di riferimento per gli allevatori dell’associazione per l’applicazione corretta di tutte le fasi della filiera, dal miglioramento genetico all’alimentazione, dagli aspetti veterinari a quelli della gestione della riproduzione, dall’habitat produttivo a quello statistico, etc. Questa azienda potrebbe essere un incubatore di nuovi allevatori che potrebbero crescere in un contesto e con obiettivi moderni di produzione, favorendo una crescita occupazionale del settore ma anche di capacità operative.
Chiederei pure un aiuto per lo sviluppo di un vero partenariato pubblico-privato, di cui siamo attualmente molto carenti, che possa lanciare una campagna di sensibilizzazione verso la necessità di una maggiore produzione di carne di coniglio per soddisfare i crescenti bisogni in proteine animali della popolazione burkinabé. 
Infine non posso non menzionare il problema degli investimenti. Gli allevatori hanno bisogno di credito; una politica pubblica a favore dell’accesso al credito sarebbe essenziale per lo sviluppo dell’intera filiera».

Ouagadougou, 30 novembre 2018

*Direttore Tamat NGO